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venerdì 23 febbraio 2007

IL buco nell'ozono e i CFC


QUANDO SONO NATI I PRIMI PROBLEMI?

Il primo refrigerante utilizzato nelle macchine frigorifere a compressione di vapore fu l’etere etilico, scelto ed usato intorno alla metà del secolo scorso da Perkins e Harrison: per la sua infiammabilità e tossicità e per la scarsa affidabilità dei sistemi di tenuta nel tempo, il suo utilizzo creava seri problemi per la sicurezza; inoltre, essendo una sostanza caratterizzata da una pressione di saturazione piuttosto elevata a temperatura ambiente, richiedeva il funzionamento della macchina frigorifera a pressione inferiore a quella atmosferica.

Nella seconda metà dell’800 furono introdotti altri fluidi frigorigeni, come l’anidride carbonica, l’ammoniaca e il cloruro di metile: l’impiego di tali refrigeranti contribuì indubbiamente allo sviluppo delle macchine frigorifere a compressione di vapore.

Comunque il problema della sicurezza, dovuto alla tossicità e all’infiammabilità di quasi tutti i fluidi frigorigeni elencati, rimase fino a quando negli anni ’30 vennero introdotti i refrigeranti alogenati quali l’R11, l’R113, l’R21, l’R22, ecc…, ottenuti dal metano e dall’etano per sostituzione totale o parziale degli atomi di idrogeno con quelli di cloro, di fluoro e talvolta di bromo. Grazie alle loro ottime caratteristiche termofisiche e ai loro requisiti di stabilità e sicurezza, i cloro-fluoro-carburi (CFC) si imposero come i refrigeranti predominanti in sostituzione di quelli precedentemente utilizzati, fra i quali praticamente rimase solo l’ammoniaca (R717) per applicazioni industriali.


Ma il problema ambientale, in termini di distruzione dell’ozono e del riscaldamento climatico per effetto serra, ha in parte delegittimato il ruolo svolto dai cosiddetti CFC in questi ultimi cinquanta anni; di qui la necessità di sostituire i CFC con altri fluidi, che ha spinto il mondo tecnico a prospettare ed esaminare le diverse possibilità, ma al tempo stesso ha posto il problema del retrofit, ossia della conversione di tutti gli impianti esistenti e del loro adattamento ai nuovi refrigeranti.

MA COME FANNO I CFC A "BUCARE" L'OZONO?

La pericolosità del buco nell'ozono è rappresentata dalla funzione di scudo svolta dall'ozono che se viene a mancare o si riduce permette alla radiazione ultravioletta di raggiungere direttamente la superficie terrestre provocando danni sia alla flora (parziale inibizione della fotosintesi clorofilliana) sia alla fauna e con essa agli uomini (cancro alla pelle, lesioni agli occhi, indebolimento sistema immunitario, ecc.).

L'ozono ha alcuni nemici naturali da sempre presenti nell'atmosfera come gli ossidi di azoto (reazioni radicaliche) ma l'uomo nell'ultimo secolo ha permesso ad un altro grande nemico dell'ozono di prosperare fino a spezzare il delicato equilibrio esistente nella stratosfera: il cloro.

L'immissione di cloro nella stratosfera avviene tramite i famigerati CFC (clorofluorocarburi). Vengono infatti scomposti solamente dalla radiazione solare che ne scinde la molecola liberando così il cloro (Cl) che una volta libero è in grado di reagire con l'ozono (O3) sottraendogli una molecola d'ossigeno formando così monossido di cloro (ClO). La molecola di monossido quando incontra una molecola d'ossigeno (O) si scinde liberando nuovamente il cloro che è libero di "distruggere" un'altra molecola di ozono (O3) realizzando così il ciclo catalitico del Cloro.

  • Cl + O3 >>> ClO + O2
  • ClO + O >>> O2 + Cl

  • O3 + O >>> 2O2

Il perpetuarsi di questo ciclo nel corso degli anni (la produzione industriale di CFC è cominciata negli anni 20) ha fatto sì che si sia verificata una riduzione media del 3% dell'ozono che causa una maggiore trasparenza dell'atmosfera alla radiazione ultravioletta.
Fortunatamente anche il cloro ha i suoi "nemici naturali", come il metano (CH4), grazie ai quali lo "scudo d'ozono" potrà tornare a formarsi in capo a 50 anni da quando l'utilizzo dei CFC e similari cesserà completamente in tutto il mondo.

MA PERCHE' L'OZONO VIENE DISTRUTTO PREVALENTEMENTE AL POLO SUD?

La spiegazione di questo fenomeno non è affatto semplice, infatti è valsa il premio Nobel per la chimica ai suoi scopritori (1995 - Paul Crutzen, Mario Molina e Sherry Rowland), in quanto si tratta di una combinazione di fenomeni fisici, chimici e metereologici:

  • nel corso dell'inverno polare a causa delle temperature bassissime raggiunte nella stratosfera (-80°C) si formano delle nuvole (Nubi Stratosferiche Polari) che contengono acqua, acido nitrico allo stato solido, biossido di azoto, metano e il cloro sottratto ai CFC dai raggi UV. Il cloro presente si combina però con gli altri componenti presenti nelle nuvole ed è pertanto inerte.

  • Durante la primavera australe (il nostro autunno) queste nuvole sono investite dai raggi UV (durante l'inverno australe il sole non sorge) che causano una serie di reazioni chimiche che fanno si che le molecole formatesi precedentemente si scindano liberando il cloro contenuto, cloro che è libero di combinarsi con l'ozono presente distruggendone grandi quantità.

  • Ad aggravare la situazione intervengono le correnti ad anello che spirano nella stratosfera attorno al Polo Sud durante l'inverno australe: con la loro velocità che può raggiungere i 400 km/h impediscono il rifornimento di ozono "fresco" permettendo così il formarsi del "Buco nell'Ozono".

La ciclicità stagionale del buco dell'ozono (o meglio l'aggravarsi del fenomeno durante la primavera australe) è stato ripetutamente riscontrato durante le osservazione scientifiche effettuate dal satellite Nimbus 7.




Ozono totale misurato il 20 Ottobre 1998





Ozono totale misurato il 20 Febbraio 1999


Un buco simile a quello australe ma molto più piccolo (assottigliamenti del 8% circa con punte del 30%) è stato rilevato anche sul Polo Nord ma non raggiunge le dimensioni di quello australe probabilmente a causa delle correnti ad anello che sono meno violente e più discontinue.
Il "Buco Artico" non è però meno grave in quanto si verifica in vicinanza di zone densamente popolate (nord Europa, Canada, Russia, ecc.) e i suoi effetti si combinano con l'assottigliamento comunque riscontrato anche a latitudini più basse a causa della circolazione generale dell'atmosfera.


La presa di coscienza della gravità del problema e i vari interventi normativi susseguitesi negli anni hanno fatto si che l'industria frigorifera dei paesi più industrializzati stia sempre più rapidamente convertendosi ai gas "verdi" ma il lavoro da svolgere è ancora tanto e bisogna ricordarsi che problemi come il Buco nell'Ozono e l'Effetto Serra sono il risultato di una serie di comportamenti scorretti (e non il risultato di un singolo agente) e che sopratutto la colpa non è solo degli altri ma che ognuno di noi ha contribuito alla distruzione dell'ozono atmosferico comportandosi come un piccolo tarlo: preso singolarmente non fa danni ma nell'insieme distrugge tutto.

Fonti:

http://www.satrel.eu/clima/clima_home.asp

www.enea.it

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